Home page      Archivio Storico

 

Memmo Cagiati

 

NESSUN MONUMENTO AD ALESSANDRO BEGANI

 

(in Archivio Storico del Sannio Alifano…, Anno II, n. 6, 1917, pp. 109-120)

 

 

 

Sono trascorsi cinque anni da quando credetti doveroso, più che opportuno, esporre la mia opinione contraria all’idea di un monumento da erigersi in onore di Alessandro Begani. Allora sperai che la protesta di un modesto studioso, pubblicata in un modestissimo periodico tutto suo personale, avesse potuto  -prima che si fosse deciso di scolpire nel marmo la figura del voluto eroe-  dare adito ad una serena discussione nel seno del Comitato promotore. La mia protesta non produsse, invece, altro effetto che di esasperare colore che torpidamente volevano soffermarsi alla tradizione della storia [1] per veder realizzata un’idea poco felice! Ma ora? Ora che scrupolose ricerche pro e contra si son fatte, e pare siano venute a correggere la leggenda beganiana, credo sia utile ch’io stesso, che ho avuto il merito di sollevare la questione, riassuma e presenti al pubblico la risultanza delle indagini da parecchi effettuate, l’indice degli scritti formanti il dossier della questione stessa, scritti che devono essere consultati da chi, scevro di prevenzioni, voglia oggi formulare un giudizio obbiettivo sull’argomento che qui tratterò dalla sua origine.

Nel pomeriggio del 4 Novembre 1912 la Società Napoletana di Storia Patria accoglieva i componenti del VII Congresso Sociale per la Storia del Risorgimento ed alla seduta intervenivano le autorità civili e militari invitate, molti soci dell’ospitale Sodalizio e molta di quella gente curiosa che sa introdursi da per tutto. Sull’ingresso della sala destinata all’adunanza si rimaneva pigiati, nell’interno, le file delle sedie formanti platea erano quasi tutte occupate, un bisbiglio festoso di occasione dominava l’ambiente. Squillò un campanello; in fondo, al banco della presidenza, il senatore Mazziotti, tra i dirigenti del Congresso, apriva la seduta, invitava il Signor Weill, uno dei congressisti intervenuti, a leggere l’annunciata sua relazione sul Begani[2]. Mi accorsi che parecchi s’interrogavano con lo sguardo, come per domandarsi: Begani? Chi è costui? e mi accinsi ad ascoltare l’oratore con la massima attenzione, riandando col pensiero a tutto quel pasticcio politico che ripristinava nel 1815 sul trono di Napoli Ferdinando IV di Borbone, alla resa onorevole di Ancona e di Pescara, alla resistenza opposta invece dalla Piazza di Gaeta, comandata dal governatore Alessandro Begani.

Il Weil tratteggiò tutta una storia ad usum delphini, quella stessa di cui era stato oggetto una lettera aperta al Senatore Croce[3] e con vivace, appassionata perorazione dipinse la figura del Begani, proclamando: « un des plus admirables soldats dont l’armée neapolitaine, dont l’Italie tout entière a, plus ancore que le droit, le devoir de s’enorgueillir… un exemple dont il serait utile de faire profiter vos jeunes officiers  -poi concluse-  or je me flatte peu être, mais je m’imagine, messieurs, que  -permettez-moi d’employer un terme militare-  je vous ai ébrantès »[4].

Non mi sentii affatto scosso da quel caloroso appello, cui mancava, tra l’altro, l’indispensabile fondamento della documentazione storica, che sarebbe stato idoneo a far accettare, come indiscutibile, la gloria poco nota e poco accertata del Begani; pensai che la storia non si studia come si studiano le favole; che si trattasse, nel caso in questione, di un semplice attacco morboso di monumentomania! L’uditorio, frattanto, che sin dal principio si era mostrato incerto dell’argomento, fece compiacente eco all’applauso di coloro che sedevano al banco presidenziale; il fragore delle battute di mano si propagò, sì che mi parve nessuno volesse mostrare di essere rimasto lì ascoltatore incosciente! Credo di essere stato il solo a rimanermene cheto, non sentendo il coraggio di applaudire alla proposta che nel frattempo, a cuor leggero, si accoglieva dagli astanti.

Tornato a casa mi diedi a sfogliare qualche libro, per rendermi maggiormente edotto del fatto ricordato dal Weill. Volevo convincermi della opportunità del monumento che si intendeva erigere in Gaeta in onore del dimenticato, che un cortese studioso di Francia ci additava, ed ebbi sott’occhio così la serie degli eventi che cercavo di studiare.

L’Europa, sconvolta, aveva sconvolto il Reame di Napoli, il Borbone fuggiva in Sicilia e sul vasto spettacolo di lutti, d’incendi e di rapine, veniva creata la Repubblica Napoletana. Poi la restaurazione veniva fatta tra gli orribili eccessi della reazione sanfedista, la più crudele tirannide imperò in Napoli e nelle province sino a quando, spaurito per le vittorie napoleoniche in Italia, il Borbone riparava una seconda volta in Sicilia. Napoli cadeva sotto la monarchia francese, l’Imperatore vi spediva qual re suo fratello Giuseppe, poi, a questo assegnando il trono di Spagna malamente tolto a Carlo IV, dava a Gioacchino Murat il regno delle Due Sicilie. Nel 1815, nel congresso di Vienna specialmente, gli affari di Gioacchino non potevano continuare ad andar troppo bene; la fortuna aveva abbandonato Napoleone, il re di Francia si disponeva a rimettere i Borboni sul trono di Napoli; comunque, dopo vantaggiosi scontri iniziali, Murat subiva lo scacco di Occhiobello, doveva ritirarsi di fronte agli austriaci condotti dal Bianchi, vedeva sbandare le proprie milizie a Mignano, dopo la grave rotta di Tolentino, sicché, deposta ogni illusione ed ogni speranza, fuggiva dal regno, si recava a Lione. Rimasta in Napoli, la regina Carolina non poté porre argine ai contrari eventi  -ché tutto andava a favore di Ferdinando IV-  si lasciava condurre a Gaeta a ritirare i suoi figli, di là in esilio a Trieste. Begani, rimasto assoluto padrone di quella Piazza ne chiudeva le valide porte, tenendole ostinatamente serrate, a dispetto pur anche della stessa guarnigione, ridotta a mal partito, dal protrarsi dell’assedio ogni giorno di più crudelmente decimata. Tale la storia!

Mi domandai per tanto quale scopo potesse riproporsi quella prolungata resistenza, che non avrebbe certo potuto in niun caso giovare al regno, ormai nuovamente nelle mani dei Borbone, né tampoco all’infelice Murat, cui il triste destino riserbava sciagurata fine al Pizzo. Scorsi i volumi del Colletta e quelli del d’Ayala, il diario del De Nicola, la storia del De Sivo e parecchie altre; e mi tenne per parecchi giorni in lunga meditazione il documento, riportato nei Ragguagli istorici del Marulli e nella Storia del Regno di Napoli del De Angelis, da quest’ultimo ritratto dall’originale.

In questo documento  -la Capitolazione della Piazza di Gaeta, in data 8 Agosto 1815, sottoscritta dal Begani e dai rappresentanti di Ferdinando IV-  lessi queste parole di colore oscuro: “S. M. perdona il signor Begani, ma non intende ammetterlo al suo servizio”; poi, in seguito, queste altre: “la cessata famiglia reale, partendo da Gaeta, regalò al Governatore Begani alcune vetture da viaggio, che non poté trasportare a bordo. Il detto signor Governatore le offre a S. M. in segno di perfetta devozione…”.

Da entrambe queste dichiarazioni risultava, o pur no, che il Begani avesse chiesto perdono al suo antico padrone? che, ardendo subitamente di nuova fede avesse chiesto di rientrare al servizio di Ferdinando IV? che cercasse di rientrare nel favore e nella grazia di lui, facendogli atto di omaggio, a cui nessuno certo aveva dovuto costringerlo?

La figura dell’uomo, che si vorrebbe sia stato amante di libertà, si presentò alla mia mente come quella di un trasformista precursore del Fregoli, la eroica resistenza di Gaeta sotto un aspetto ben diverso da quello prospettato dagli storici, contemporanei ed amici del Begani, e del carattere opportunista di quel bravo guerriero mi resero edotti i risultati di alcune indagini che mi diedi la pena di fare nel nostro R. Archivio di Stato.

Come bisognava spiegarsi la singolare resistenza del Begani? Se non era stata dettata da indiscussa fede liberale, fu ostinatezza soltanto? “scrupoloso puntiglio di soldato  -come al Begani stesso piacque dopo asserire?-  o premeditata attesa di un dritto di buona uscita, neppure sognato dagli onesti difensori di Ancona e di Pescara? In un ripostiglio segreto di quelle vetture da viaggio  -dono fatto dal Begani a S. M. Borbonica-  che ebbero il lascia-passare e non dovevano quindi essere perquisite alla porta di Gaeta, non potevano essere nascoste le “ingenti somme lasciate dal Murat” di cui parla la Capitolazione all’Art. 17? In ogni modo persuaso della opportunità di richiamare l’attenzione di quelli che, più o meno coscienti del fatto storico, avevano applaudito all’idea del monumento proposto dal Weill, pubblicai la mia protesta e la mandai a tutti i Soci della Società Nazionale di Storia Patria, nonché a tutti coloro cui credetti potesse interessare la questione[5].

Tutti tacquero, e  -cosa strana!-  nel Bollettino della Società Nazionale per la storia del Risorgimento[6] si dava invece il comunicato del plauso unanime sulla proposta di un ricordo marmoreo alla memoria del Begnai, l’elenco delle personalità chiarissime, le quali formavano il Comitato iniziatore, e la prima lista di offerte per la iniziata sottoscrizione. Di poi nell’VIII Congresso Sociale per la Storia del Risorgimento, tenutosi a Bologna, il Weill, insisteva nel chiedere la glorificazione del Begani, avendo questa volta l’appoggio di un compiacente rappresentante ufficiale del Municipio di Napoli e quello del Colonnello Ferrari, Capo dell’Ufficio storico del Comando del Corpo di Stato Maggiore. Questi nell’assemblea prometteva anzi il prossimo licenziamento alle stampe di una sua monografia, che affermava idonea a dissipare immantinente qualunque dubbio fosse potuto sorgere dalla mia protesta[7].

Costretto così a tornare sull’argomento, pubblicai un’altra nota nel mio periodico[8] e attesi ansioso la monografia promessa dal Ferrari. Oh quale delusione mi procurò la lettura di quel romanzetto, imbastito su alcuni documenti, che erano perfettamente in contraddizione con la tesi che essi avrebbero dovuto avvalorare[9]. Appresi che il Presidente, il Vice presidente del Comitato organizzatore si erano dimessi, che in seguito si erano dimessi altri Componenti di quel comitato[10]  [11] [12] e devo confessarlo, quelle dimissioni produssero una certa soddisfazione all’animo mio, perché le supposi promosse dal grido di allarme delle mie pubblicazioni.

Si era interessato frattanto della questione il mio illustre amico Casentini. Per la mia Rivista chiesi a lui  -erudito ed intelligentissimo cultore di studi storici, appassionato raccoglitore di memorie patrie-  un autorevole parere da contrapporre agli inopportuni entusiasmi del Weill, alla giovanile filosofia storico-militare del Ferrari; qualche tempo dopo mi ebbi l’articolo, che pubblicai con poche mie parole di presentazione[13]. Il lavoro del Cosentini[14], condensato, scritto per gli eruditi  -di cui ogni parola sta a rappresentare il risultato di uno studio profondo, ogni frase una tesi ponderata, ogni asserzione il riassunto di coscienziose indagini-  spiegava a miglior lettura quegli stessi documenti esibiti dal Ferrari, in guisa da lumeggiare perfettamente la figura opportunista del Begani. Dove il Ferrari aveva potuto in quei documenti rinvenire l’eroe? Nessuno disse verbo! sembrò che l’ombra del Begani tornasse a rincantucciarsi nel silenzio! poi scoppiò la guerra tra le nazioni, che ne ha resi spettatori della immane gesta di sangue, la quale ancora si combatte, ma il Comitato regionale napoletano, non abbandonando l’idea del monumento che si era prefisso, continuò a raccogliere offerte, non si persuase della gaffe in cui era caduto, in cui si ostinava sempre, anche oggi che tutti i documenti venuti alla luce stanno ad attestare chiaramente, presi nel loro insieme, essere stato il Begani né più né meno, che un militare di professione il quale cercò, in ogni atto della sua vita di armigero, di trarre il  massimo utile possibile dalle diverse contingenze attraversate dal Regno di Napoli.

Si rileva, dai documenti fin’oggi pubblicati che il Begnai venne educato nel Collegio militare della nostra città e cominciò, nelle milizie borboniche, la sua carriera col grado di Alfiere. Distaccato con la 2° compagnia a Tolone, dove insieme ad Inglesi e Spagnoli prese parte a vari combattimenti contro i Francesi, tornando in Patria, l’anno appresso, recò seco dalla Francia le nuove idee politiche che dovevano renderlo inviso al Borbone. Incarcerato e liberato in forma, dalla Giunta di Stato, rimase sospeso dall’impiego e dal soldo; fuggì a Roma e si iscrisse nella milizia della Repubblica Romana, dalla quale passò di poi al servizio della Cisalpina. Con Eugenio Beauharnais andò a Boulogne, come capo di battaglione, e tornò a Napoli con i Francesi nel 1806; fu Maggiore, poi Colonnello, poi Maresciallo di Campo ed ebbe il titolo di Barone. Aveva preso parte alla campagna d’Italia, che il Murat combatté di accordo con l’Austria e contro il Beauharnais, cessata quella campagna ebbe affidato dal Murat il comando della Piazza di Gaeta e la tenne salda, anche quando seppe la caduta di Gioacchino, della convenzione di Casa Lanza, dell’esilio in cui era andata Carolina Annunziata con i suoi figli, dell’entrata degli austriaci in Napoli. Qui la storia diviene oscura, perché non è documentata la ragione per cui ad un tratto, mutando propositi, il Begani cedé la Piazza e nell’atto della resa fe’ indecorosa pratica per ottenere la riammissione nell’esercito borbonico. Ferdinando IV gli assegnò un sussidio, ma lo volle allontanato dal territorio del Regno; il Begani non seguì in Provenza, in Corsica, al Pizzo, Gioacchino Murat che era liquidato: …ma fece continue insistenze per ritornare in Patria ed essere riammesso al servizio del Borbone. A leggere le umilianti suppliche del Begani si può constatare come fosse esulato in lui ogni senso di decoro e di fierezza personale! In una di queste suppliche giunse ad asserire a Ferdinando IV di avergli conservata la piazza forte![15] Sussidiato sempre dai Borboni, ma tenuto al largo ed a vista come pregiudicato, poté tornare nel 1820 a Napoli con gli amnistiati e si ribellò di nuovo contro colui che lo aveva continuato a beneficiare insieme alla sua famiglia! Da Ferdinando II (che salendo al trono desiderò si dimenticasse ogni antico rancore contro i suoi predecessori) ottenne finalmente la riammissione tanto desiderata nelle file dell’esercito borbonico, fu destinato al comando della fortezza di Capua, seppe guadagnarsi tutta la fiducia del giovane re e conservarsi il lauto stipendio, menando vita tranquilla, che fu troncata da morte nell’aprile 1837. La vedova di quel fedele servitore ebbe dal Borbone una pensione di cinquanta ducati al mese! Era il 10 in condotta alla memoria dell’estinto!

Questa la documentata biografia del Begani. Per un’epigrafe si potrebbe riassumere: Seppe ottenere, per il suo carattere petulante, gradi, titolo nobiliare e benefici pecuniari facendo il liberale - sussidi, elargizioni, onorevole impiego facendo il borbonico - in quel tempo di continui rivolgimenti si adattò a cambiar fede come il padrone.

Si può aggiudicare un serto di gloria a questo mestierante delle armi, come il Begani stesso si confessa di essere in una lettera a S. M. Ferdinando IV? Se si volesse attribuirgli onore soltanto per la condotta che tenne come Governatore della Piazza da Murat affidatagli, si deve convenire non aver egli neppur dimostrata, in quell’evento, ostinatezza che hanno i suoi glorificatori di oggi, perché, se questa virtù egli avesse almeno posseduta, avrebbe continuato a resistere in Gaeta, fino alla morte, mantenendo col fatto quello che da spavaldo aveva risposto al Tenente-colonnello Chequiez, incaricato dal Generalissimo austriaco Bianchi d’invitarlo alla capitolazione. Il Begani scrisse allora: “sono deciso a difendere Gaeta sino all’ultimo momento della mia vita, o sino al giorno in cui riceverò l’ordine formale di aprire le porte della piazza da chi mi fu affidata” e poi? perché non mantenne il proposito? La ragione s’intuisce chiara nel carattere opportunista dell’uomo. Certo una qualche opportunità da lui già intravista si dové presentare. Difatti: perché Gaeta non fu dal Begani ceduta prima, come furono cedute Ancona e Pescara, quando gli avvenimenti politici avrebbero spiegata la resa? perché cedette soltanto più tardi, con evidente danno della città e della guarnigione? perché accettò il perdono, così poco onorevole per lui, di S. M. Ferdinando IV, scolpito in un capitolo della resa che dové firmare? perché in quella resa fece al Borbone omaggio servile di quelle misteriose vetture da viaggio, le quali pur dovevano rappresentare per lui un dono prezioso di quella cessata famiglia reale alla quale si era mostrato tanto fedele ed affezionato mentr’era in fortuna?

Queste domande non se le rivolsero i contemporanei del Begani; dovevano farsele quelli che applaudivano alla proposta di glorificazione dettata dal Weill; dovevano farsele i Componenti del Comitato regionale napoletano, prima di prendere l’iniziativa per l’erezione del monumento. Quel Comitato, invece, non tenendo conto della filippica del De Mayo[16], il quale aveva seguite e giudicate le mie proteste da quel coscenzioso storico, da quell’intelligente critico-militare che si è sempre rilevato in tutti i suoi pregevolissimi lavori, non tenendo conto delle inspiegabili deserzioni di parecchi colleghi, né della leale ritrattazione che, a seguito delle mie proteste, il Guardione aveva fatta, pensando e scrivendo nella seconda recente edizione del suo « Murat »[17] molto diversamente che nella prima, quel Comitato rimandava ancor a miglior tempo la restituzione dei fondi raccolti! Oh come avrebbe fatto meglio a confessare l’errore in cui era caduto ed a consegnare quei fondi alla Croce Rossa, col consenso degli oblatori, che non sarebbe certo mancato!

Il Conti ha voluto dare al suo giudizio nella Rivista d’Italia[18], con uno scritto nel quale, mentre si propone di dimostrare che: « tra le figure più eroiche dei generali napoletani che militarono sotto Gioacchino, una delle più notevoli è quella di Alessandro Begani » non potendo per contro smentire le risultanze di altri documenti da lui esibiti, conclude: « il Begani non fu un precursore, un martire dell’idea nazionale... Certo sarebbe stato assai bello che il Begani, dopo l’assedio di Gaeta, non avesse avuto che fare con i Borboni, né si fosse umiliato mai a scrivere loro, a chiedere o ad accettare nulla, e tanto meno di entrare nel loro esercito, e neanche di ritornare in patria, talché di lui si potesse oggi dire “non mosse collo né piegò sua costa...”. Sarebbe allora incensurabile ed esteticamente piacerebbe di più, ma da questo, a negargli i grandi meriti e l’onore di un qualsiasi marmo ci corre ». Ammette, dunque, il Conti che la vita del Begani sia censurabile per tanti ragioni di censura, e poi chiede in transizione, per quel figuro, un marmo qualsiasi. Io credo che ora non si possa più parlare di statua, anche perché non si saprebbe come vestirla  -non essendo confacente al borbonico la uniforme del Maresciallo murattiano, non essendo per il liberale decoroso l’abito del Comandante la fortezza di Capua quale fedele suddito di Ferdinando II-  ma se anche si volesse concedere al Begani una lapide, non teme il Conti che uno scultore intelligente e di spirito potesse scolpirvi a basso rilievo un bel gruppo di pagnotte, al posto del rituale serto di alloro?

Dopo il Conti, il Mazziotti, entrando nella lizza, con la pubblicazione dei suoi documenti, con i quali credeva di mettere in buona luce la eroica figura del suo protetto, ha finito col massacrarlo! Tra gli accusatori del Begani [19] il Mazziotti addita il Guardione e lo rimprovera di contraddizione e di leggerezza. Si crederebbe? Il Guardione, per rispondere, non trova ospitalità  -quella ospitalità che gli spettava di pieno diritto-  nella Rassegna, in cui diveniva da accusatore accusato! È strano che quella Rassegna, organo di una Società che s’intitola: per la storia del Risorgimento italiano, dovesse divenire scortesemente ingiusta soltanto per proteggere l’idea di un monumento da elevarsi ad un borbonico, ché tale in fondo era il Begani, più che un versipelle, ché da borbonico finì la sua vita come Comandante della fortezza di Capua.

Il Guardione pubblicò la sua esauriente risposta in un quotidiano napoletano[20] ed il Mazziotti in un secondo articolo, contenuto nella Rassegna[21] della Società, di cui è magna pars, elargiva agli ingenui credenti un’altra manata di notizie e i documenti. Peggio di peggio! Quei documenti stanno a presentare al lettore il Begani come una figura antipaticissima, e poi  -desunti, come egli dice, dagli Archivi di Stato di Napoli, di Firenze e di Pisa-  non hanno indicazione alcuna, per modo che, chi avesse vaghezza di riscontrarli, non trovandoli a Napoli

giro giro tondo

va a riscontrarli a Pisa,

se non li trova a Pisa

potrà girare il mondo!

Ed è con tale scorta di materiale inservibile ed avariato che il Mazziotti si permette di chiamare « accusatori di Begani » quelli che non credono alla gloria di questo soldato di ventura? Noi non siamo accusatori del Begani, che avremmo lasciato dormire dimenticato nella sua tomba, noi siamo invece gelosi custodi del decoro di queste regioni meridionali e non vogliamo che in esse si compiano di così ridicole pagliacciate, come quella che il Mazziotti consiglia, anzi impone al Comitato iniziatore del monumento al Begani; noi siamo di quelli che non tengono bordone alle ignoranze altrui.

O giovani figli d’Italia  -che tolti ai campi, ai mari, alle officine, alla severità degli studi, siete accorsi all’appello della Patria, siete caduti da eroi, o siete passati attraverso il martirio delle sale operatorie, delle corsie degli ospedali-  per Voi soli la Patria si avanza verso il futuro. Siate benedetti Voi, che avete innalzata l’ostia palpitante nel cielo della novella storia d’Italia! L’altra, l’antica, quella che formò i Vostri cuori che intesero il dovere fino al sacrificio, non sarà contaminata dalle false glorie volute dagli schiamazzatori, protette dai critici poco scrupolosi! Siate sicuri! ora i monumenti di gloria saranno per Voi, per Voi soltanto, che avete superata ogni altra gloria!

Home page      Archivio Storico

 

 



[1] Da riscontrare le seguenti opere:

Bianco N. A., Gli ultimi avvenimenti del Regno di Gioacchino Murat per cura di Ireneo Del Zio, Melfi 1880, pag. 130 e seg.; Buttà G., I Borboni di Napoli al cospetto di due Secoli, Napoli 1877, vol. 1, pag. 502 e seg. e pag. 678; Colletta P., Storia del Reame di Napoli, Bruxelles 1847, vol. II, pag. 126 e seg. pag. 528 e seg.; D’Ayala M., Le vite dei più celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto ai dì nostri, Napoli 1843, pag. 130-142; De Angelis F., Storia del Regno di Napoli sotto la dinastia Borbonica, Napoli 1817, Tomo IV, pag. 123-131; De Nicola C., Diario Napoletano 1798-1825, Napoli 1906, Parte II, pag. 544, Parte III, pag. 10, 12, 14, 17, 18, 28, 29, 31; De Sivo G., Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Roma 1863, Vol. I, pag. 42; Gaetani O. di Aragona, Memorie storiche della città di Gaeta, II edizione, Caserta 1885; Gallerie Historique des Contemporains, Année 1817; Gallois L., Storia di Gioacchino Murat, Lugano 1833, cap. XIV, cap. XXII; Gamboa B., Storia della Rivoluzione di Napoli entrante il Luglio del 1820, presso Trani, pag. 116; Marulli G., Ragguagli istorici sul regno delle Due Sicilie dall’epoca della francese rivolta fino al 1815, Napoli 1846, vol. III, pag. 631 e seg.; Michiteli F., Storia delle Rivoluzioni ne’ Reami delle Due Sicilie, Italia 1860, vol. I, pag. 354, vol. II, pag. 11; Musci M., Storia civile e militare del Regno delle Due Sicilie sotto il Governo di Ferdinando II, dal 1830 al 1849, Napoli 1855; Severo L. (Salzillo), Di Gaeta e delle sue diverse vicissitudini, Italia 1865, pag. 56-58; Vento R., Gaeta nella storia, Caserta 1911, cap. III; Vinci, Giornale della difesa di Gaeta del 1815.

[2] Bollettino della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento, Anno I, n. II, Settimo Congresso Sociale, Roma, Novembre 1913.

[3] Giornale d’Italia n. 78, del 19 Marzo 1911.

[4] E. Weill, Il Generale Alessandro Begani, (Discorso pronunciato nella Sede della Società di Storia Patria in Napoli il 4 Novembre 1912), estratto dagli “Atti del Settimo Congresso della Società Nazionale per la storia del Risorgimento Italiano”, Napoli 1913.

[5] M. Cagiati, Per un monumento al Generale Begani, in “Supplemento all’opera: Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo d’Angiò a Vittorio Emanuele II, a cura dell’autore Memmo Cagiati”, Anno III, n. 5-6-7, Napoli, Tip. Melfi Joele, 1 Luglio 1913.

[6] Bollettino della Società Nazionale ecc., anno II n. 10 - Comunicati, Verbale del Comitato napoletano, Roma 30 Luglio 1913.

[7]Bollettino della Società Nazionale ecc., anno II n. 19 - Seconda Seduta dell’VIII Congresso in Bologna, a pag. 181, Roma Ottobre 1913.

[8] M. Cagiati, L’VIII Congresso Sociale della Società Nazionale per la storia del Risorgimento, in Bologna, in “Supplemento all’opera ecc., Anno III, n. 11-12, Napoli, Tip. Melfi Joele, Novembre 1913.

[9] G. Ferrari, Il Generale Alessandro Begani e la difesa di Gaeta nel 1815, in “Memorie storiche militari”, fasc. III, del 1914 (23 della raccolta), Città di Castello, 1914.

[10] Bollettino della Società Nazionale ecc., Anno III, n. 12 - Comitato regionale napoletano, Roma, 12 Dicembre 1914.

[11] Per il monumento al Generale Begani, in Cronaca della Rivista: Arte e Storia, Anno XXXIV, n. 12, Firenze, Dicembre 1914.

[12] Bollettino della Società ecc., Anno IV, n. 2 - Comitato regionale Napoletano, Roma Febbraio 1915.

[13] M. Cagiati, Per un monumento al Begani, in “Supplemento all’opera ecc.”, Anno IV, n. 3-4, Napoli, Tip. Melfi Joele, Ottobre 1914.

[14] B. Cosentini, Begani, in “Supplemento all’opera ecc.”, Anno IV n. 3-4, Napoli, Tip. Joele, Ottobre 1914.

[15] R. Archivio di Stato di Napoli - Segreteria di Guerra, fasc. n. 1069 - Lettere di Begani a S. M. Ferdinando IV, riportata dal Ferrari, op. cit. a pag. 92-94 e dal Cosentini, op. cit. a pag. 14-16.

[16] Per la Storia del Risorgimento, in Cronaca della Rivista Arte e Storia, anno XXXV, n. 4, Firenze, Aprile 1916. Bollettino della Società ecc., Anno V, n. 3 - Comitato regionale Napoletano a pag. 6, Roma, Maggio-Giugno 1916.

[17] F. Guardione, Gioacchino Murat in Italia, II edizione, Firenze 1916. Vedi nota a pag. 504, I Edizione, Palermo 1899.

[18] O. Conti, Il Generale Alessandro Begani a Gaeta e nell’esilio, in Rivista d’Italia, Anno XX, fasc. II, Roma, Febbraio 1917.

[19] M. Mazziotti, Il Generale Alessandro Begani ed i suoi accusatori, in “Rivista storica organo della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano”, Anno IV, fasc. II-III, Roma, Marzo-Giugno 1917.

[20] F. Guardione, Opinioni controverse sul Generale Begani, in “Don Marzio” giornale quotidiano di Napoli del 29 Giugno 1917.

[21] M. Mazziotti, Nuovi documenti sul Generale Alessandro Begani, in “Rassegna Storica ecc.”, Anno IV, fasc. IV, Roma Luglio-Agosto 1917.